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Paesaggi Umani da Monte Mario a Villa Fiorelli passando per ad Acilia. Secondo report.

Siamo in piena ottobrata romana, il miglior momento per vivere Roma e di conseguenza viene voglia di passeggiare. Uno dei posti più emblematici per farlo è la pista ciclopedonale che da Monte Mario scende verso Monte Ciocci seguendo l’inclinazione morbida di un ex tratto ferroviario. L’idea della rigenerazione di questo percorso fu di Walter Tocci quando nel 1993 da vice Sindaco progettò la “cura del ferro” ottimizzando il sistema del trasporto pubblico combinandolo con l’anello ferroviario. Nel 2007 si attuò una prima parte di quella pista strepitosa che battezzammo “la nuova via francigena” quando l’abbiamo battuta, inieme allo stesso Tocci, in molti walkabout (come questo , nel link c’è la pagina che il quotidiano Metro dedicò all’attività di Urban Experience).

E’ proprio lungo questo tratto che sabato 11 ottobre, con il progetto Paesaggi Umani di Roma Plurale (vedi il primo report), ci troviamo al Casotto del Monte Ciocci  diventato presidio civico nella pista ciclopedonale con un’attività culturale costante in buona parte declinata al femminile di cui ci parlano Carmen Iovine e Paola Trentavizi dell’associazione che vi cura le iniziative. Da una panchina rossa Consuelo Ciatti cita un saggio di Franco Basaglia (Corpo, sguardo e silenzio) che tratta del concetto di alterità e di inclusione sociale. E’ un buon spunto per metterci in movimento verso l’ex Manicomio Santa Maria della Pietà dove si evocherà Alda Merini. Lungo la via ascoltiamo in radiocuffia un frammento del film di Scola Brutti, sporchi e cattivi ambientato nella baraccopoli (vera, non un set) che era proprio lì, sulla sommità del Monte Ciocci.  Si va a prendere il treno per raggiungere Monte Mario e nel tragitto Consuelo invita i partecipanti a leggere alcuni frammenti basagliani.

Ascoltiamo anche la voce di Franco Basaglia  quando ci ritroviamo di fronte all’ex Manicomio che nel 1978 grazie alla sua Legge (considerata come uno degli atti più rivoluzionari del nostro Paese) fu chiuso come tutte le altre strutture d’internamento, aprendo la Società tutta. Consuelo pone uno striscione con uno dei motti basagliani più illuminanti: “da vicino nessuno è normale”. Un segno forte che echeggia le tante azioni che abbiamo svolto in quel contesto, già dal 2010 e come si coglie dal progetto EntrareFuori su cui c’è questo video della trasmissione RAI Cooltour condotta da Carlo Massarini. Inseguiamo Consuelo che con la sua rapsodia lo sono il canto e la lunga strada va verso uno dei padiglioni non ancora ristrutturati. Di fronte a quell’edificio rovinoso si ha la netta percezione della memoria dolente di un luogo manicomiale. Sta arrivando il buio e si crea la giusta atmosfera per misurarci con la vita e la poesia di Alda Merini, autrice fragile e minata dall’esperienza dell’internamento tragico nel manicomio di Milano.

E’ un’immersione nel mondo tragico di una delle sensibilità più ferite e poetiche del secolo scorso. Tra le sequoie si sviluppa un’azione itinerante in cui la scrittura della Merini, attraverso l’oralità sapiente di Consuelo, risuona in radiocuffia dritta dritta verso la coscienza dello spettatore coinvolto in un’esplorazione che non è solo fuori, nel parco del S.Maria, ma dentro, in un turbinio emozionale che fa prendere atto del delitto contro un’alterità femminile. La drammaturgia errante mette a nudo lo squallore dell’ospedale psichiatrico ma evoca anche gli amori di una poetessa che nel “raccontarsi agli altri”  metteva in gioco una generosità disarmante.

Il giorno dopo domenica 12 nella mattinata siamo ad Acilia per un brainstorming peripatetico con quello straordinario “guerrigliero della percezione” che è Marco Baliani, un autore-attore che ha di fatto aperto il confronto pubblico sulle pratiche poetiche e le politiche del narrare.
Narrare, nel suo etimo latino gnarigare che deriva da gnoscere (conoscere) e igare (da àgere: agire), sottende il far conoscere agendo. Non si raccontano solo storie, si narra, con un approccio che non è solo teatrale ma performante: esercitando memoria camminando, conversando e comunicando (a terra e on line) attraverso le nostre esplorazioni psicogeografiche che rilasciano geopodcast. Ciò che fa Urban Experience è quindi cercare di riconfigurare lo sguardo sui territori che si attraversano, giocando con diverse chiavi narrative che aprano la percezione su prospettive extra- ordinarie. È ciò che abbiamo fatto conversando con Marco Baliani, maestro delle pratiche del narrare, sia poetiche sia politiche. Marco con Il suo Kohlhaas nel 1989 resettò lo sguardo sul teatro, sparigliando tanto manierismo sperimentale, inchiodando tutti di fronte ad un narratore seduto su una sedia, scalpitante, maieutico, capace di scatenare storie nelle teste di chi lo osservava rapito.  Dopo aver fatto una ricognizione con Marco (simile a quella fatta anni fa) tra i caseggiati della zona “Profughi d’Africa” dove negli anni Cinquanta si trasferirono i suoi genitori (il padre era stato uno dei profughi dalla Libia) ci siamo mossi con il walkabout Nel regno di Acilia. Mise en espace ripercorrendo le tracce del suo romanzo Nel Regno di Acilia, tra le “marane” e i luoghi dove le bande di giovani borgatari giocavano, tuffandosi anche da quel ponticello (qui a fianco) in acque improbabili (c’erano spesso tratti con fogne a cielo aperto). Un “viaggio” dentro quella sua memoria d’infanzia, camminando tra le pieghe di una borgata che lo ha visto crescere dagli anni Cinquanta al 1968 (quando fece il salto di qualità rivoluzionario). Abbiamo usato quelle “pieghe” (ciò che è recondito ma emblematico) come sottotesto di una conversazione-palestra d’empatia in cui esercitare ciò che definiamo lo sguardo partecipato, qualcosa che è molto vicino a quella “educazione alla percezione” di cui ci parla Marco. Se va cercato il teatro in ciò che è accaduto va trovato nella percezione condivisa di un’esperienza. Per questo la stiamo pensando proiettata verso un progetto futuro sul “picaresco romano” per riprendere e rigenerare alcune delle intuizioni di Pasolini. Un’idea da rilanciare nella seconda edizione di Paesaggi Umani nel 2026.

Nel pomeriggio di domenica siamo alla Casa del Quartiere di Villa Fiorelli  dove riprendiamo il filo per trattare de Il performing media e il narrare in cammino cogliendo proprio a partire dall’esperienza di Marco Baliani con il suo approccio sperimentale espresso negli anni Ottanta con la Radio Art di Audiobox-RAIRadioUno, lo stesso ambito da cui ha origine (insieme al videoteatro e il festival Scenari dell’Immateriale di Narni) la ricerca del Performing Media seguendo l’evoluzione dei linguaggi e dell’immaginario attraverso l’avanzamento tecnologico.  Un approccio che si perpetua attraverso i walkabout “con i piedi per terra e la testa nel cloud”, una radio che cammina che ci fa immaginare come si possa salvare il futuro dalla convenzionalità digitale senz’anima, estraendo il meglio dalle nostre radici, mantenendole vive anche nel web con i geopodcast. Sono con noi (in presenza e al telefono) oltre a Marco Baliani, Consuelo Ciatti, NuvolaProject (autori delle videoroiezioni nomadi che utilizzano anche animazioni con l’intelligenza artificiale) , Mariella Fabbris, Carlo Presotto (autore dei silent play che creano coinvolgenti giochi di ruolo con i sistemi radio), Cuocolo-Bosetti (con le loro drammaturgie immersive in radiocuffia) e alcuni protagonisti delle comunità territoriali (tra cui Aps Villa Fiorelli e CdQ Tuscolano-Villa Fiorelli). Al crepuscolo accade lo sono il canto e la lunga strada, il secondo atto della rapsodia poetica di Consuelo Ciatti ispirata ad Alda Merini. La troviamo in cima ad un olivo da cui pendono striscoline di carta con frammenti di poesie meriniane, scende e la seguiamo in un percorso che evoca l’ironia sottile e affilata di una donna straordinaria. Lungo l’itinerario troviamo altri due striscioni che recitano: “Non sono una donna addomesticabile” e “Sono una piccola ape furibonda”. Nette, precise, toste, impertinenti.

Chiude la giornata densa la performance conviviale di Mariella Fabbris L’albero delle acciughe tratto da un racconto di Nico Orengo spalmato su pane, vino e un mare di acciughe.  Mariella (fondatrice del Laboratorio Teatro Settimo nei primi anni Ottanta e protagonista del teatro di narrazione) ci conduce nel viaggio di quel pesce azzurro e proletario, dai mari del sud alla pianura padana fino alle Alpi, diffuso dai carri dei contrabbandieri che con le acciughe stipate nei barili veicolavano il sale e un po’ di mare da unire ai frutti della terra. Il teatro insorge nella prossimità resa tale da una narrazione empatica che si fa relazione e desiderio di comunità. Un esempio fulgido di generosità e apertura d’animo che conferma quanto il vero spettacolo è nel ritrovarsi protagonisti di un momento di bella partecipazione e non più solo di fronte a rappresentazioni formalizzati. E’ proprio quello che cerchiamo.

E’ questo l’obiettivo sostanziale del progetto Paesaggi Umani di Roma Plurale. Performing Media Storytelling per la Memoria Rigenerativa  che in questi atti (ce ne sono ancora molti altri indicati nel programma linkato che si concluderà il 21 dicembre) ha avuto più di 380 partecipanti (nella somma ci sono anche quelli trattati nel primo report) e più di 54 uscite sui media (non stiamo contando quelle sui social!), tra queste una recente intervista su Exibart. Qui i videoreport di VieVerdi, quello dell’11 ottobre  e quello del pomeriggio del 12 .